10 giugno 2016

La filo-scienza

«Si pretenda dal filosofo che sia modesto come lo scienziato», suggeriva Reichenbach nel suo trattato del 1951 intitolato La nascita della filosofia scientifica. Furono in molti, nel corso dei secoli a partire dalle prime scoperte scientifiche, a storcere il naso dinanzi all'inconsueto accostamento filosofia-scienza, giudicato addirittura ossimorico. Galilei, in particolar maniera, parlò della sua personale attività di ricerca come diretta derivazione di "certe dimostrazioni" e "sensata esperienza", ponendosi distante dal "mondo di carta" dei filosofi a lui coevi. Gli alterchi dell'ideologo, nella lor propria relativa realità, risultano fatui e di facile confutazione agli occhi dell'uomo di scienza. Non può essere che soggettiva quell'opinione sì fondata, ma che tutta dipende dalla prospettiva.

Il saggio (o il filosofo) si domanderà ora perché, date le premesse, la scienza sia ancora impegnata nella ricerca della risposta alla domanda di senso. Chiaro: raramente vedremo la scienza varcare i confini del "misurabile" e dell'"enumerabile", scegliendo deliberatamente di allontanarsi dalla "fisica" in favore della "metafisica".
Non è certo, come taluni potrebbero ora intendere, che scienza equivalga a esatta veridicità. Troppi sono i vacui interrogativi che essa si pone, ma anche troppe sono le apparentemente lapalissiani e presuntuose asserzioni filosofiche. A titolo d'esempio: la scienza domanda: «Perché la vita?»; il filosofo afferma: «Ecco, vivo». Se è pur vero quel detto che «dove scienza non arriva lì accorre religione», non appena se ne ammetta l'insuccesso è dovuta una ricerca parecchio più astratta di qualcosa – Qualcuno – per cui ogni singola legge scientifica risulta verificabile e verificata, quell'Entità – figura retorica di "Essere" – il cui dominio è silenzioso e dettato da un sentimento d'amore, quanto di più distante da una mera tecnica di laboratorio. Sarà solo quando scienza, filosofia, e ogni altra disciplina di senso convoleranno in comune udienza, che l'unica grande istanza troverà accoglimento.
È ancora oppugnabile che la scienza potrebbe in tutta autonomia giungere a una molteplicità di risposte corrispondenti a un'altrettanta mole di domande, finché, quasi per esclusione, non resti che l'univoca Risoluzione. Il pensiero di Wittgenstein, in ogni caso, trova scarsa applicazione sul piano reale.
Dopo le opportune confutazioni, è altresì importante sottolineare come scienza e religione possano paradossalmente fondersi a originare un'unica disciplina. Si tratta proprio della filosofia, che per suo stesso etimo rappresenta l'amore per la sapienza nelle sue più varie definizioni. È sapienza l'alto grado di conoscenza delle cose, il sapere profondo unito a doti morali e spirituali come anche di logica e tecnica. Chi è dunque in grado di sancire senza remore che tale interesse non valga nei confronti della scienza così come delle più teologiche materie? Ed ecco, forse, la suprema conoscenza, la verità che ancora una volta giace in un reciproco incastro.

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